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lunedì 10 marzo 2014

"Il voto delle beffe" di IVANO NANNI

Sull'incontro di mercoledì 5 marzo con lo storico Marco Severini che ha presentato il suo saggio "Dieci donne" edito da Liberi Libri.

La cosa più ingannevole è credere che i vuoti giuridici siano solo portatori di guasti nel vivere civile, naturalmente questo non è detto, e credo che ogni certezza in questo senso sia sintomo di un pregiudizio che è bene perlomeno sfumare nella convizione che a volte l'imperfezione apra le porte a concezioni civilmente avanzate. Contrariamente a quanto si crede, e non di rado, nelle pieghe di una smemoratezza, in un' imperfezione giuridica, in una dimenticanza di legge o in una sua indeterminatezza si insinua una provocazione che traccia un percorso di civiltà. Questa provocazione venne evidenziata all'inizio del secolo scorso dall'insigne antropologa e pedagoga Maria Montessori quando ravvisò nelle grinze di una legge imperfetta la possibilità per le donne di richiedere il diritto a votare. Ravvisare e proporre il voto alle donne era una somma provocazione in un paese nel quale,ricordo che siamo nel 1906, votava circa l'otto per cento della popolazione, sostanzialmente i nobili, i ceti borghesi e gli intellettuali, mentre tutta l'Italia era sprofondata nella palude dell'analfabetismo. In un clima di insipienza totale, le donne per quanto potessero essere minimamente acculturate stavano ancora peggio dell'ultimo degli uomini, senza alcun dubbio considerate dal punto di vista politico incapaci di intendere e di volere,  se è vero che anche Giolitti,presidente del consiglio in quegli anni, considerò la vicenda non degna di nota, per non parlare del Papa che aborriva il voto alle donne come la peste, e avrebbe preferito che il diavolo entrasse in canonica piuttosto che una donna nel seggio elettorale.
Ebbene, da un' anomalia giuridica, in questo caso benedetta, e da una casualità tutta umana, la possibilità del voto alle donne divenne qualcosa di concreto. Il fatto è questo. La giusta osservazione della Montessori smosse l'attenzione di alcune maestre marchigiane le quali  portarono davanti ai tribunali e alle commissioni elettorali la loro richiesta di partecipare al voto. Il caso volle, che a verificare quella richiesta fosse un'illuminato e insigne giurista, Ludovico Mortara, il quale spoglio da ogni pregiudizio e da ogni emotività, riconobbe diritto e ragione alle maestre richiedenti. Di una simile sentenza qualcuno se ne adontò e la giudicò anomala e degna di insulti ma oramai il solco era tracciato e le maestre ebbero confermato il loro sacrosanto diritto. Ma la commedia nascondeva nelle pieghe del sipario la beffa estrema. Quello che fu veramente anomalo e che impedì loro di affermare il loro diritto ad esercitare il voto fu la singolare lunghezza del governo Giolitti che durò per circa tre anni e mezzo contro l'abituale durata del governo di allora e ancora adesso, otto mesi e mezzo circa, cosa che permise al Senato di rivedere tutta la materia elettorale e rimandare alle calende italiane, che sono peggio di quelle greche, il voto alle donne. Cosa si può dire in merito a questa vicenda che ho riassunto a grandissime linee? Che le anomalie specie se giuridiche sono ambigue e a volte possono essere feconde di evoluzione civile, che le dimenticanze possono aiutare, che gli uomini vogliono sempre avere ragione, che le donne dovrebbero governare di più perché con meno testosterone in giro ci sarebbero meno guerre, e che i governi italiani durano smpre quando non servono e quando servono sono finiti prima di cominciare.
di Ivano Nanni

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