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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

Via Matteotti, 56 - 48022 Lugo di Romagna - (Ravenna) - Italia
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giovedì 25 giugno 2009

"L'esperienza al Caffè Letterario" di MARCO CUZZI

Lo storico milanese MARCO CUZZI è stato ospite di Caffè Letterario il 17 giugno scorso per presentare il saggio "Romba il motore". L’esperienza al Caffé Letterario e più in generale a Lugo di Romagna è stata veramente unica. Innanzi tutto, la sorpresa di conoscere a fondo ciò di cui sino a quel momento avevo captato soltanto vaghe ed epidermiche notizie: il Caffé Letterario è una prestigiosa agorà, da anni visitata dai più bei nomi della cultura del nostro Paese. Non un club dei polverosi amanti di polverose letture, né un circolo che dietro una frettolosa manifestazione letteraria malcela interessi politico-affaristici, e neppure un’associazione dalle tante velleità intellettuali annegate in un mare di ignoranza. Il Caffé Letterario è la negazione di tutto ciò, perché è veramente una piccola arena del sapere e della conoscenza. E poi la sorpresa è proseguita incontrando e conoscendo i responsabili di quell’arena, Patrizia e Claudio, gentilissimi e simpatici proprietari di un gran bell’albergo che è l’Ala d’Oro –sede del Caffé Letterario, luogo di Storia vissuta oltre che di storie narrate, e del collegato ristorante dove alla sorpresa si aggiunge la conferma di una grande e sapiente arte culinaria degna della Romagna. E infine, dopo aver ammirato il maestoso monumento a Baracca, accompagnato da Daniele –altra presenza imprescindibile della mia troppo breve esperienza lughese- eccomi nel bel Museo dedicato al mito aviatorio italiano per eccellenza. Ho conosciuto in poche ore un mondo fatto di cultura, storia, sapori, amicizia e cordialità. Un amante dei piaceri della vita –piaceri per la mente e per il corpo- come il sottoscritto, non poteva chiedere di più. Marco Cuzzi

"I diari di Marai" di DAVIDE SILVESTRI

Lo scrittore veneziano DAVIDE SILVESTRI è stato ospite di Caffè Letterario il 6 ottobre scorso con il suo romanzo "La linea generale". I giovani con i muscoli, che ridono e corrono sulla spiaggia, sportivamente. Che arrivano in ufficio, rampanti. La vita televisiva, quella che vediamo attraverso l’oblò del nostro batiscafo: giovani, sempre, ovunque, nient’altro che giovani. Gente che si stacca pezzi di corpo e se le riattacca da un'altra parte, che usa la liposuzione come bilanciamente corporale... ragazzi, mi secca rovinarvi la colazione, ma si muore. È inutile girare la testa da un’altra parte: si muore. Adesso non dico di passare la giornata in cimitero a riscavare le bare. Ma pensarci ogni tanto non credo sia una cattiva idea, è una specie di igiene mentale, di ginnastica (per una volta) del cervello. Ecco allora il libro giusto, che ci aiuterà a tornare a terra. È Marai a farci questo regalo con il suo “Ultimo dono”, l’ultimo libro che ha scritto prima di togliere le ancore. È il diario di un lutto plurimo, la descrizione di una terra bruciata. È un’uscita di scena elegante. E' il diario di una fine, da leggere con gli occhi aperti per sapere come vanno le cose quando cade il vento, per capire cosa succede quando i giorni sono contati. di Davide Silvestri

"Molti dubbi" di IVANO NANNI

Sull'incontro con ERMANNO BENCIVENGA di lunedì 22 giugno. Tutte le nostre costruzioni traballano. Prima o poi entrano in risonanza con il principio di autodistruzione e cominciano a vacillare per poi cadere. Poco male. Quello che non c’è più lo ricostruiamo di nuovo, magari con le stesse pietre di scarto, ripetendo gli stessi errori di calcolo, aspettando il prossimo crollo. Altre volte tiriamo su un altro edificio più alto del primo, fatto meglio, con altri materiali e con calcoli ben fatti e lo guardiamo con orgoglio, alto, lucente, proprio bello, ma anche di questo aspettiamo prima o poi il crollo. Se non sarà un sisma a farlo crollare, lo farà il tempo o un attentato terroristico o un meteorite vagante lo polverizzerà per sempre. Altre volte al posto dell’edificio crollato non tiriamo su niente, non ne vale la pena, tanto crollerà di nuovo… I nostri sentimenti crollano tutti i giorni facendo schianti a volte risibili, appena percettibili, altre volte minacciano smottamenti importanti segnalati su rulli chilometrici di carta inchiostrata da pennini oscillanti. Il nostro modo di vedere le cose e di sentire passa tra le maglie strette di percezioni esauste, inarticolate, spesso inquinate da ideologie e spazi confinati da indiscrezioni. Le nostre sensibilità sono messe a dura prova da spiacevoli contumelie tra vicini di casa che non si possono vedere, e a niente valgono le nostre rimostranze, se qualcuno grida forte e non ci lascia dormire. Ci sentiamo come casse in risonanza con il mondo intero e quello che ci fa credere di vivere in un mondo migliore di un altro è la possibilità di avere amicizie e amori che ci esaltano. Percepisco il dolore o la possibilità del dolore se provo a immaginare l’ assenza di un amore contingente, che riguarda chi mi è vicino e caro. Non mi vedo però in lacrime pensando al Grande Assente che da millenni se ne sta occultato da qualche parte e sebbene sia sollecitato a mostrarsi dimostra una timidezza sovraumana. So che chiunque dopo tante sollecitazioni dovrebbe per lo meno farsi vedere, se non altro per buona educazione. Ma qualcuno potrebbe obiettare che il libero arbitrio se vale per noi, a maggior ragione vale per Lui e la sua assenza deriva non dalla sua mancata esistenza ma dalla scontrosità e dalla permalosità. Che i suoi pensieri siano rivolti ancora a quelli che mangiando la mela lo hanno offeso? Memoria lunghissima purtroppo per noi, e senza speranza che il peccato cada in prescrizione. Ma assente significa non esistente? Direi di no, ma non ne sono sicuro. L’Assente c’è, può esserci, ma è da un’altra parte. Non è qui tra noi. Però il fatto che sia assente da così tanto tempo dovrebbe,dopotutto, insospettirci, e senza arrivare a conclusioni affrettate si potrebbe dire dopo aver cercato per tanto tempo qualcuno e non avendolo trovato lo si dia per disperso. Almeno questo. E dopo un po’ di tempo, il passo successivo: si compila un modulo di morte presunta, e si archivia il caso. Mica si può tenere tanta gente impegnata ad indagare su qualcuno che magari non c’è. Il Grande Assente finisce in un fascicolo senza etichetta, su un polveroso scaffale della Procura, e non se ne parla più. Starà a Lui fare la prossima mossa. di Ivano Nanni

martedì 23 giugno 2009

La serata con ERMANNO BENCIVENGA

Chiusura della stagione in grande stile per Caffè Letterario quella di ieri sera con il filosofo Ermanno Bencivenga che ha presentato il suo ultimo libro “La dimostrazione di Dio” edito da Mondadori. Sala conferenze dell’ Hotel Ala d’Oro strapiena per ascoltare il filosofo di origine calabrese ma ormai trapiantato in California da diversi anni. La serata introdotta da Giovanni Barberini si è protratta per più di due ore per finire con le tante domande di un pubblico attentissimo nonostante la complessità del tema trattato: “la dimostrazione di Dio”. Una sfida che fin dall'antichità ha appassionato l'uomo, portandolo a dischiudere tesori di speculazione intellettiva destinati poi a germogliare i frutti più alti nella cultura dell'Occidente. È la «dimostrazione razionale dell'esistenza di Dio» una delle argomentazioni più ostiche, se non la più ardua, con cui si sono misurati nei secoli filosofi del calibro di Aristotele e Cartesio, Leibniz e Hume, Tommaso d'Aquino e Kant. Grandi menti che hanno discusso, ampliato e rivisto la concezione e gli attributi filosofici dell'idea di un essere divino, componendo un affascinante e intricato labirinto filosofico, in cui è facile addentrarsi ma da cui non è altrettanto agevole uscire. Partendo dalla celebre prova ontologica di Anselmo d’Aosta per passare a quella cosmologica di Tommaso d’Aquino e teleologica dei Creazionisti per finire con la prova morale di Immanuel Kant, Ermanno Bencivenga ha incatenato l’attenzione di tutti con il suo eloquio chiaro e comprensibile ma mai banale. E proprio con Kant si sono completate le argomentazioni di Bencivenga che ha così concluso: «Il filosofo che costituisce il fondamento di tutta la mia riflessione, Immanuel Kant, guardava con disapprovazione a ogni tentativo di ridurre la nostra umanità. Se da sempre popoli e individui hanno avvertito l’esigenza di un Dio, occorre capire il motivo di questa ricerca. Penso come Kant che il rispetto per Dio è il rispetto che la ragione umana prova per se stessa; il cielo stellato sopra di noi è l’immagine della sublimità delle nostre domande e del nostro desiderio di comprensione». Ecco le immagini della serata.

venerdì 19 giugno 2009

Lunedì 22 giugno - ERMANNO BENCIVENGA a Caffè Letterario

Lunedì 22 giugno alle ore 21,00 nella sala conferenze dell’Hotel Ala d’Oro, Caffè Letterario chiude gli appuntamenti stagionali con una grande serata che vedrà protagonista il filosofo, poeta e matematico Ermanno Bencivenga che presenterà il suo ultimo lavoro “La dimostrazione di Dio” edito da Mondadori. L’incontro sarà introdotto dal filosofo lughese Giovanni Barberini e si concluderà come buona abitudine di Caffè Letterario con il consueto brindisi con i vini in degustazione. La sfida suprema della filosofia: dimostrare Dio --- Nella storia della filosofia non si contano i tentativi di arrivare per via razionale a dimostrare l’esistenza di un ente supremo, creatore del mondo e degli uomini. Da Aristotele a san Tommaso, da Leibniz a Gödel, passando per Pascal, Hume e Kant, lo sforzo secolare dei filosofi ha prodotto una mole impressionante di tentativi di dimostrazione, che, però, non sono mai giunti a una conclusione definitiva: la prova finale e indiscutibile non è mai stata presentata. Come ci mostra in questo affascinante libro Ermanno Bencivenga, però, tutti quegli sforzi non sono stati inutili. Innanzitutto, testimoniano come l’urgenza di certe domande infiamma le menti e i cuori degli uomini da sempre, e poi che le riflessioni che a partire da questa urgenza sono state condotte hanno prodotto buona parte della filosofia occidentale: per parlare di Dio, infatti, i filosofi si sono confrontati con i problemi della moralità, dell’infinito, dell’esistenza e delle leggi dell’universo, della natura umana, della verità e della bellezza, e con innumerevoli altri problemi fondamentali. Tutte le prove fino a oggi presentate possono essere ricondotte a quattro percorsi argomentativi, e Bencivenga li percorre uno per uno, raccontandoli al lettore nella loro vitalità e nella loro illusorietà e seguendo i molti, interessantissimi rivoli che si dipartono dalla corrente principale, dalle isole felici immaginate dal monaco Gaunilone nell’undicesimo secolo ai famosi talleri di Kant, dalla prova matematica escogitata da Gödel al terribile apologo del Grande Inquisitore di Dostoevskij. Ermanno Bencivenga è nato a Reggio Calabria nel 1950 e si è laureato in filosofia all’Università statale di Milano. E’ ordinario di Filosofia presso l’Università di Irvine, California. Logico di fama, ha dato importanti contributi alla filosofia del linguaggio, alla filosofia morale e alla storia della filosofia. È autore di numerosi saggi di logica, estetica, filosofia del linguaggio e storia della filosofia.

giovedì 18 giugno 2009

La serata con MARCO CUZZI

“E’ aeronautico il cielo…” così comincia una bellissima canzone di Paolo Conte. E aeronautico è stato ieri sera il salotto di Caffè Letterario con la presentazione del libro “Romba il motore” edito da Il Saggiatore. Sul palco della nostra rassegna letteraria a parlare del libro era Marco Cuzzi, Ricercatore di Storia Contemporanea all’Università degli Studi di Milano e autore di tre dei tredici saggi che compongono il libro. Dopo l’introduzione alla serata da parte del direttore del Museo Baracca, Daniele Serafini, Marco Cuzzi è entrato nel vivo degli argomenti trattati nei suoi saggi cominciando da quello dedicato alla figura a dir poco inconsueta del pilota Guido Keller. Compagno di squadriglia di Francesco Baracca nella prima Guerra Mondiale, si dice che abbia convinto Gabriele D’Annunzio a mettersi alla testa dei legionari fiumani riuniti a Ronchi in attesa di un capo e si sa per certo che, antesignano dell’antipolitica, ha “bombardato” Montecitorio con un vaso da notte ornato da una rapa. Era a tutti gli effetti un pilota sui generis: dormiva nudo sugli alberi, riceveva i generali in accappatoio, ingaggiava duelli cavallereschi con i nemici in cui non si sparava un colpo. Il secondo tema trattato ha riguardato uno degli avvenimenti più luttuosi nella storia dell’aeronautica militare italiana. La tragedia di Kindu. Nel novembre 1961 tredici aviatori italiani del contingente Onu nel Congo atterrano a Kindu, ovvero il luogo sbagliato nel momento sbagliato. Catturati dai ribelli del Kivu (nomi ancor oggi di attualità), finiscono massacrati, fatti a pezzi, venduti al mercato e mangiati (sì: mangiati). Un episodio dimenticato per decenni fino a quando, solo nel 1994, l’allora Presidente della repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, ha concesso alle vittime la medaglia d’oro al valor militare. Infine il saggio dedicato alla propaganda aviatoria del regime fascista impeganto a costruire il mito dell'aviatore italiano con il film "Luciano Serra pilota" interpretato da Amedeo Nazzari e col personaggio dei fumetti Luciano il Legionario pubblicato dal Vittorioso. La serata poi si è conclusa come sempre con il consueto brindisi finale con i vini in degustazione. Ecco le immagini.

sabato 13 giugno 2009

Mercoledì 17 giugno - MARCO CUZZI a Caffè Letterario

In occasione dell’anniversario della morte di Francesco Baracca, Caffè Letterario dedica il suo penultimo appuntamento della stagione al volo e all’aeronautica; mercoledì 17 giugno, alle ore 21,00, nella sala conferenze dell’Hotel Ala d’Oro, sarà presentato il libro “Romba il motore” edito da Il Saggiatore nel 2009. A presentare il volume sarà Marco Cuzzi, Ricercatore di Storia Contemporanea all’Università degli Studi di Milano e autore di alcuni dei saggi che compongono il libro. L’introduzione alla serata, che si concluderà come d’abitudine con il consueto brindisi con i vini in degustazione, sarà affidata a Daniele Serafini, Direttore del Museo Baracca di Lugo. Un incontro in cui si parlerà di storie di uomini, di passioni, di macchine, di sfide per costruirle e per farle librare nell'aria. Storie di volo, insomma. È questo il contenuto di "Romba il motore": una raccolta di saggi storici rigorosi ma al contempo curiosi, di storie minori che però rispecchiano la grande storia, spesso tragica, che ha percorso e dilaniato l'Italia. Come ad esempio i due Luigi, entrambi patrioti e tuttavia nemici: l'uno stava con i partigiani di Tito, l'altro con i nazifascisti. Storie oscure, dimenticate, come quella dell'aeronautica afghana creata dagli italiani negli anni Trenta, o dell'intervento delle nostre ali in Iraq nel 1941. Storie industriali, come la battaglia tra "più leggeri" e "più pesanti" dell'aria: l'esito della sfida tra dirigibili e aerei non era affatto scontato prima della tragedia dell'Hindemburg nel 1937. Come non lo era il fatto che gli aerei che utilizzavano la terra per decollare e atterrare prevalessero su quelli che usavano l'acqua, come testimoniano i numerosi idroscali disseminati per l'Italia, a cominciare da quello di Milano. "Romba il motore" è un libro decisamente inconsueto. Non tanto perchè è composto da tredici capitoli del tutto indipendenti tra di loro e tenuti assieme solo dalla cronologia degli argomenti trattati. L'unicità dell'opera nel panorama dei libri di aviazione italiani si nota già dalla copertina: un biplano CR42 italiano che viene ... abbattuto da un aereo da caccia inglese! E non da un potente Spitfire, ma da un altrettanto antiquato (come concezione) Gloster Gladiator! E' la riproduzione del quadro di un artista britannico, che uno si aspetterebbe di trovare in una mensa ufficiali della RAF e non sulla copertina di un libro "celebrativo" delle doti degli aviatori italiani. Il fatto è che il libro non è affatto celebrativo, è invece la raccolta di storie ed opinioni ben diverse dal solito clichè del "quanto-eravamo-bravi-pur-con-mezzi-inferiori".

"Un bambino alla mostra sul cubismo" di BRUNO D'AMORE

Lo scrittore BRUNO D'AMORE è stato ospite di Caffè Letterario l'8 giugno con il suo romanzo "Allievi".
Erano incerti, i genitori, se lasciarlo a casa, perché «alle mostre si annoia e diventa irritante»; bisogna sempre trovargli «qualche cosa di alternativo altrimenti non ti lascia in pace». E così, se si vuol andare insieme agli amici a vedere la mostra sul cubismo a Ferrara, bisogna sistemare il bambino altrimenti. O presso la nonna materna, sempre pronta e disponibile; o in casa di certi vicini che hanno un bimbo anche loro… E così, la bella gita culturale si trasforma in una telefonata continua a casa della nonna o dell’amica per vedere come sta quel povero bambino che si annoia tanto alle mostre e diventa irritante. Avviene dunque che, anche per mostrare che, oltre a dire, so anche fare, mi sono preso la responsabilità di quel bambino alla mostra; ho proposto di portarlo con noi adulti; durante la visita sarebbe stato affidato a me e lo avrei seguito io. Se non avesse reagito positivamente, sarei uscito con lui, liberando i genitori e gli altri adulti da quel tormento. Accettato! Mi ero portato un taccuino di appunti, una matita ed un cubetto di legno (uno che si occupa di didattica della matematica ha sempre un cubetto di legno con sé, perché non si sa mai); prima di entrare, abbiamo fatto una sosta in un bar. Ho aperto con fare misterioso il taccuino, ho consegnato la matita ad A. ed ho disposto il cubetto sul tavolino (chi tra i miei lettori conosce Gris, Braque e Picasso degli anni 1907-1920 apprezzerà la scelta di un tavolino da caffè, n’est pas?). Sulle 6 facce del cubo erano disegnate varie cose, che lui aveva esplorato a lungo prima, rigirando il cubetto tra le dita delle mani e commentando ad alta voce. L’ho sfidato a rappresentare il cubo ed è venuto fuori, com’era ovvio, uno splendido esempio di pittura cubista. La prospettiva viene alterata, oltraggiata e distorta per uno scopo ostensivo: mostrare quei disegni che, altrimenti, da un dato punto, di vista non si possono vedere. Con il cubo nelle mani ed il taccuino sempre aperto, siamo entrati al Palazzo dei Diamanti ed abbiamo esaminato, uno per uno, con una attenzione puntigliosa folle, a volte inginocchiandoci entrambi per terra per vedere meglio (ho ritenuto che nessuno dei presenti mi conoscesse), tutti i quadri esposti. Uno per uno, meticolosamente, sfruttando il più possibile la rappresentazione di A. Abbiamo notato come in Braque sia più forte l’interesse cromatico, mentre in Picasso quel che conta solo le masse, le forme, il moto potenziale. Abbiamo rincorso da quadro a quadro violini, chitarre, bicchieri, bottiglie… Ma quel che ha entusiasmato A. è stato vedere i volti. Perché se un volto è di profilo non posso rappresentare quel che immagino e so senza vedere e cioè l’altra metà? Lui l’ha trovato ovvio anzi sembrava stupito del fatto che non fosse sempre così. Dopo un po’ s’era aggregato un capannello formato dai 5 adulti che facevano gruppo con noi e tanti altri adulti che si stavano appassionando alla cosa. Ho raccontato, a tutti a questo punto, dell’arte africana (stupidamente non richiamata qui), dei legami con precedenti movimenti artistici. Ed ho avuto un bel premio: quando la mostra è finita, non solo gli adulti hanno detto «Peccato!» (e sembravano sinceri) ma anche A (ed era sincero davvero). Come mi piacerebbe commentare a lungo qui, ora… Ma non importa, vero? Ah, come aveva ragione Rousseau (Jean-Jacques, non Henri)…
Bruno D'Amore

giovedì 11 giugno 2009

"Amari amori" di IVANO NANNI

Sull'incontro con BRUNO D'AMORE di lunedì 8 giugno.
Albrecht Durer oltre al talento e al genio che madre natura gli aveva concesso, era pure un bel ragazzo, e un playboy vero e proprio, straordinariamente fortunato con le donne, sfuggito più volte alle vendette di mariti cornuti. Per cui motivi di ammirazione, di invidia e di gelosie sconfinate erano pienamente giustificate da parte di piccoli uomini che di fronte al genio non potevano che rimanere attoniti e a bocca aperta. Quel suo maestro di legno Michael Vogelmut, maestro di scultura e di incisioni, ci racconta il suo calvario di artista rispettabile che incontra un bel giorno( ma poi non fu così bello) un artista enormemente più grande di lui. E per lui tutto cambia. Da quel momento la sua stella si offusca, lui stesso perde vitalità e gioia di vivere, tutto gli si sbiadisce attorno, tutti i concetti e le certezze che lo avevano sostenuto naufragano miseramente davanti a un ingegno allegro e perfettamente formato nonostante la giovane età. Ciò nondimeno la sua non fu un’invidia infausta come ce ne sono fin troppe nel mondo, e meno in questi racconti, ma fu una enorme ammirazione verso il talento così genuino e puro, piovuto direttamente dal cielo. Inizia in questo racconto come poi in tutti gli altri un resoconto del maestro sull’incontro fatidico con l’altra parte della luna. Di quel lato oscuro che si palesa, incarnato in un uomo più giovane che si professa discepolo, che anela ad esserlo, e che da subito chiarisce la sua posizione nel mondo. Si proclama allievo e nel mentre lo dice medita sulla magnificenza del suo talento, sa bene che lo è, ottimo pittore e incisore, ma non vuole umiliare nessuno, accetta il so fardello e opera per il bene del mondo e della committenza. Questo è il tratto che distingue i grandi, di tutti i grandi che sono raccontati in questo libro, che per quanto siano sublimi e alti non hanno mai il carattere di quello che umilia e divide. Al contrario, sono segnati dal destino per illuminare e chiarire oltre ogni dubbio. Semmai è il maestro, dall’occhio fino, a vedere oltre la stoffa e a leggere in filigrana la grazia dell’allievo, accostato alla quale anch’egli diventa più grezzo, impacciato, goffo nel parlare e attonito. È strano come il trovarsi al cospetto del talento più rigoroso e sbalorditivo renda tutti più mansueti e l’ammirazione consigli di genuflettersi davanti a tanta regale sapienza e tecnica. Quando questa non si manifesta come invidia pura e semplice allora rimane nel maestro il ricordo dell’allievo che travalica il suo lavoro e si consegna alla storia della scienza o dell’arte come immortale. Il dialogo languisce, però, certo non tutti i passaggi dell’allievo, sempre più maestro, sono comprensibili, tuttavia il tocco o il calcolo sul quale si basa il giudizio del maestro sono incontrovertibili. L’allievo ha per il maestro una grazia che gli permette di pronunciarsi sempre con umiltà verso colui che sente come l’iniziatore del suo cammino e compie quel miracolo di comprensione dell’animo umano che si chiama carità, quando pubblicamente ringrazia colui che sta un gradino sotto. Ma non importa, la loro piacevolezza per questo e altro fa commuovere e vola alto, più in alto di un altare dipinto e di una pala d’altare, più in alto perfino delle stelle osservate dai filosofi- astronomi. Il Verrocchio veduti i disegni di Leonardo si accostò al suo tavolo di lavoro e afferrò i pennelli che lo avevano reso famoso e li spezzò tutti in un unico gesto. Quella rottura che segna una crepa nel corso della storia maieutica rimette tutto nelle mani della storia dell’arte in questo caso, come è la scienza, e noi tutti, a trarre profitto dalle scoperte di Newton, nato in quel 25 dicembre del 1642, anno della morte di Galileo, destinato a tracciare una nuova via nei cieli e a scriverne la storia immortale. Sembra quasi di percepire l’attimo in cui il maestro si ritrae davanti alla superiore intuizione e in questo segna la sua grandezza di uomo. C’è sempre umanità anche in questo tirarsi da parte, in questo infliggersi un giudizio severo sulle proprie colpe. C’è sempre un momento in cui l’ammirazione sopravanza la comprensione ed è il momento in cui il più piccolo vive il suo momento sublime. È l’attimo per cui pur non comprendendo pienamente intuisce la grandezza e la ama incondizionatamente e ne rimane per sempre avvinto. di Ivano Nanni

martedì 9 giugno 2009

La serata con BRUNO D'AMORE

Splendida serata quella di ieri sera lunedì 8 giugno per Caffè Letterario e pubblico delle grandi occasioni per ascoltare lo scrittore e matematico Bruno D’Amore che ha presentato il suo ultimo libro di racconti “Allievi” edito da Gedit. Parterre de roi sul palco di Caffè Letterario dove a fianco dell’autore erano il poeta Alberto Bertoni, Ricercatore presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna e Giorgio Bolondi titolare della cattedra di Geometria presso la facoltà di Economia e Commercio a Bologna, con l’editore Claudio Tubertini a condurre gli interventi. Un incontro davvero piacevole e appassionante, grazie anche al contributo dei due attori Gabriele Argazzi e Barbara Bonora che hanno letto alcuni racconti tratti dal libro presentato in maniera davvero coinvolgente e dagli intermezzi musicali delle tastiere e del basso di Alex Carpani e Fabiano Spiga. Ecco le immagini della serata.

"La prevalenza dell'immagine" di IVANO NANNI

Sull'incontro con GAIA MANZINI di venerdì 5 giugno. Un ritratto è appeso a un filo sottile, è quello della memoria che demolisce e scompone la trama stessa dei volti e dei corpi, lasciando sul nudo selciato della storia un lascito di ricordi coi quali l’artista gioca d’azzardo a ricomporre quei corpi, quelle figure, quegli istanti sospesi che rendono i racconti inquieti come nebbie dipinte in quadri simbolisti. Quando Ada sciolte le reti che la impelagano nel suo letto si immerge nel suo cuore marino, il cielo astrale si appaga di una nuova piccola stella. Il cuore dilaga nella sua benevolenza e schiude porte e finestre della casa. Ora i confini non sono più nemmeno labili, non esistono più. La semplicità di questa constatazione è la forma primordiale della liberazione. La famiglia diventa un pretesto per dipingere un guazzo che non ha nulla di psicologico, niente di sottointeso, è tutto gettato nel corpo stesso di una descrizione dettagliata, appena curva sul particolare come a volerlo proteggere da una possibile corruzione. C’è in tutto questo un taglio netto di luce su situazioni programmate, un cambio di prospettive che rompe riti, consuetudini, demenzialità che nel piccolo cabotaggio di tutti i giorni miseramente appagano. Contro questa piccola invadente indecenza si organizzano campagne di sopravvivenza che analizzano le crepe millenarie di famiglie avvizzite, chiuse nell’occhio del ciclone di indifferenze stupefacenti, abituate a orientarsi nel turbine colpevole di piaghe secolari di pacate abitudini. L’occhio che scruta queste incongruenze è alla ricerca di superfici lisce, senza appigli ai quali aggrapparsi, perché dipingere la Ronda di Notte familiare è una scalata imprevedibile e ascetica, una salita al monte Athos della semplicità. Non vengono sciolti i nodi di una impeccabilità familiare di facciata, tutta la querelle rimane aperta e disposta al sacrificio dei componenti familiari, sebbene il discorrere getti una benevola luce sul gretto provincialismo delle idee preconcette. È tutta un’opera di demolizione, uno scalpellare a tutto tondo un genere, quello familiare, che prima di essere biologico è letterario. Cioè inventato nel bene e nel male, in quello che si ama e in quello che si detesta e che la scrittura sonda e a volte sovverte arrivando alla sua anima, al suo bios, alla sua parte ecocompatibile con la società e con le idee che su di essa si producono. In questa scrittura della prevalenza di immagine c’è una volontà di trovare il cuore verde dell’amore, in sostanza quello che può essere di nuovo utilizzato, trapiantato in un altro amore, o in un’altra famiglia. di Ivano Nanni