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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

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lunedì 23 marzo 2009

"Sono solo bollicine" di IVANO NANNI

Sull'incontro di sabato 21 marzo dedicato al film "Amarcord" di Federico Fellini. Film di depistaggi come si è detto. E forse nel titolo sta la più riuscita mistificazione del mago Fellini. Quell’Amarcord non somiglia forse a un improbabile aperitivo? A qualcosa di leggero e poco alcolico che inebria quel tanto che basta per iniziare a sognare?. È poi davvero un film fondato sul ricordo? Solo vagamente, credo, e i ricordi, in ogni caso sono un pretesto per una diversa e nuova invenzione. Fellini torna spesso sui luoghi che l’hanno visto protagonista di bugie e tradimenti. Rimini in fondo è stata tradita, abbandonata lasciata nel dolce limbo del trascorrere delle stagioni. Nella fiacca di un eterno ritorno sempre uguale, mitizzando un domani che sarà uguale all’oggi. Già il mondo della provincia, del borgo, l’aveva raccontata nei Vitelloni con amarezza, pietà, disincanto e amore per i protagonisti, sempre in attesa di un evento che li faccia partire per Milano o Roma. Eventi che non verranno mai perché non si è mai pronti per partire. Troppi vincoli che trattengono, troppe le ansie per il domani, troppe le comodità cui rinunciare. Solo uno, una mattina, senza dire niente a nessuno, senza nessuna prospettiva prese un treno e partì. Morando nei Vitelloni rifiuta l’attesa e decide di fare un salto nel vuoto. Si mette in gioco e parte per la sua avventura nel mondo. Non che abbia le idee chiare, non è questo. E’ il viaggio ha intrigarlo a metterlo nel centro del mondo. Se non parte non saprà mai quello che si perderà a rimanere. Non conoscerà mai se stesso e quello che può fare. E come Morando, l’unica che se ne va dal borgo, è la Gradisca all’inizio di una nuova primavera. La sua attesa si è compiuta. Ha sognato Gary Cooper e ha trovato un carabiniere. Sempre e comunque un'altra uniforme, un simbolo di quella autorità ordinatrice alla quale tutti, compreso la gradisca, si sono uniformati, nel roboante strombettio delle parate di regime. Nella provincia tutta inventata di Fellini, perciò così universale nel linguaggio e nelle maschere, il rito dell’attesa permane come un aspetto delle vite degl’abitanti del borgo. L’attesa della fine dell’inverno e l’esplosione della primavera con le manine che volano nella piazza, e il rogo della vecchia. L’attesa che tinge l’universo poco conosciuto e dimesso di quei personaggi-burattini diventa la ricerca di un evento prodigioso come il passaggio del mitico Rex. E ancora di più. C’è l’attesa di un amplesso sognato e vissuto tutto nella immaginazione del piccolo Biscein che si fa coccolare da un improvvisa visione di amore stregato dalla luna e dai veli delle odalische. Che altro se non l’attesa di una svolta? Un ribaltamento epocale come quello che volevano i fascisti sperando in una vittoria improbabile. Una svolta da operetta se si pensa a quella che segna il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta di Titta quando muore la madre. L’attesa dei vitelloni di Amarcord, epigoni invecchiati di altri giovani invecchiati, incastonati nei loro preludi amorosi, vivono la primavera come l’anticamera dell’estate. Il vero momento nel quale danno il meglio di se stessi stringendo delle ammiccanti bionde straniere in languidi balli al chiaro di luna borbottando frasi d’amore incredibili. Sono risvegli dal torpore dell’autunno dei sensi e dall’inverno dei sentimenti. Si sa che dopo quello scalpiccio di piedi sui pavimenti del Grand Hotel il sonno li prenderà di nuovo e dormiranno lieti occupando le serate a conversare di conquiste. Solo uno sguardo da fuori vedrà che questi dolci epigoni del non far nulla ad ogni anno saranno più vecchi e prima o poi anche il parlare sarà solo un ricordo. di Ivano Nanni

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