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venerdì 16 gennaio 2009

"Smobilitanti" di IVANO NANNI

Sull'incontro con SERENA ZOLI di mercoledì 14 gennaio Il lavoro, lo abbiamo sentito durante l’incontro, non rientra più nel novero delle certezze umane, una volta lo era molto più di adesso con l’aggiunta che quando si perdeva o si decideva di cambiare lo si trovava. Ora non è più così. Il lavoro appare sempre più etereo nella sua improvvisa e spesso letale volatilità. Ora c’è, fra un giorno non c’è più. Sparisce creando scompiglio, sgomento, ondate di rabbia, sommovimenti e proteste, violenza familiare, suicidi. Si può ben dire che la sua presenza rafforza il nostro ottimismo. Il nostro pensiero diventa forte, la capacità creativa di ogni persona aumenta; il lavoro fa campare bene e meglio, infonde generosità e innesta il lavoratore nel contesto civico e umano, lo fraternizza con gli altri, lo mette al centro di ogni riflessione filosofica, teologica, sociologica, e storica. La costituzione protegge il lavoro, ne ha fatto il pilastro fondante del suo animus, ne ha colto la portata edificante e liberatoria. D’altro canto, è quando lo si perde, che ci si accorge di quanto fosse importante per il proprio equilibrio psichico, economico, e giuridico. Il lavoro stabilizza e concretizza l’azione umana e la eleva a un gradino di consapevolezza miracolosa, e chi perde il lavoro o non ce l’ha, non solo risulta menomato nella sua capacità di spendere per sopravvivere ma smette di vivere pur spendendo soldi che non guadagna. Diventa un paria, forzatamente spinto ai margini a declinare all’infinito il verbo disperare e la parola nostalgia. Nostalgia di ciò che si è perso, e che spesso non ritorna, per difetto di organizzazione e per disaffezione alla umana partecipazione, alla condivisione compassionevole. Il lavoro, allora, appare sempre di più, da questo punto di vista come un gioco da illusionisti. Al punto che ci si chiede se quello che si vede è la realtà o un trucco da magic box. Dove la scatola magica è rappresentata dal grande contenitore globale dove le relazioni umane trascendono la loro efficacia diventando subumane, prendendo quello che trovano, cioè quasi niente. Ebbene, l’illusione di trovare l’eldorado nel nocciolo della finanza è stato per due decenni il nervo scoperto dell’economia che ha marciato a testa bassa contro ogni decenza, fregandosene bellamente di ogni riferimento morale, lasciando il discorso sui diritti e doveri al sindacalismo e alla politica meno contaminata. Entrambi perdenti, deboli, e con prospettive ridotte al lumicino. Perché in questi anni non ci si è accorti che l’economia stava mutando pelle. Entrava a pieno titolo, attraverso i suoi santuari intangibili, nella lista delle attività criminali. Non ci si è accorti che la finanza era già andata oltre nel suo giudizio sul lavoro e sull’etica che accompagna il lavoro. Aveva già costituito di per sé la sua metafisica perversa, la sua procedura di annichilimento, il suo sistema di scambi virtuali paradossali. Il godimento di diritti ha rappresentato perciò finalità obsolete rallentanti la corsa all’arricchimento, per il semplice fatto, a mio avviso, che il genere etico e il genere profitto solitamente non vanno d’accordo. Perseguono obiettivi diversi, per cui, per avere uno, l’altro dev’essere imbrigliato, se non negletto. Abbiamo visto che massimizzando il profitto con pericolose acrobazie finanziarie, l’etica che sottende a quella operazione è identica a quella prodotta dai pirati della Tortuga. E se il profitto, ha sostituito la centralità del lavoro, prima ancora ha smosso la centralità della divinità dalla nostra vita. Ha sostituito un dio misterioso e remoto, con la tangibilità di una forza bruta e tutta visibile, una specie di vis natura primigenia, moderna, senza remore e sensi di colpa, che ha costituito le sue chiese, i suoi altari, i suoi riti, e ovviamente la sua casta sacerdotale. Allora è vero che, da questo punto di vista, l’opera che s’attende è quella di una riforma economica di portata mondiale. Molti la invocano, altri ne vedono i segni già in nuce, altri attendono frastornati gli eventi colti alla sprovvista dalla depressione monetaria. Mi permetto di dubitare di una simile frana ideologica. Il capitale ha in se stesso corpi e anticorpi per curare le sue piaghe a meno che le ferite non siano tali e tante e profonde da annullare ogni terapia assistenziale. Ma anche in questo caso il filo per suturare le ferite impedirà il tracollo del paziente. Per alcuni, e anche per me, l'onda della smobilitazione si alza sempre di più e minaccia di travolgere il brulichio dei lavoranti che vivono ai piedi dell’Olimpo dei guru dell’economia. Quando la grande alluvione avrà raso al suolo le capanne dei piccoli e le acque si saranno ritirate, le montagne saranno di certo più basse, ci saranno picchi più brulli, ma quelli che oggi vivono sull’Olimpo continueranno a viverci perché dall’ondata si saranno salvati di certo. Non dobbiamo dimenticare la straordinaria capacità di accumulo della casta degli eletti e della capacità di sopravvivenza e soprattutto delle facoltà ipnotico-affabulatorie dei medesimi. Si parla del momento d’oro delle opportunità. Si sostiene che questa ventata di ribassi e di depressione può portare un ridimensionamento degli obiettivi del capitale, un suo rafforzamento organico di natura etica. Insomma si dovrebbe assistere alla stagione della grande riforma; anzi dell’autoriforma, visto che dall’altra parte, la classe storica che impatta con il capitale è impedita a svolgere alcunché dalla mancanza di riferimenti politici. Ma anche di questo mi permetto di dubitare. Il lavoro sarà sempre più smobilitante ed estraniante e il capitale nello stesso tempo, troverà un nuovo assetto di condizionamento, un nuovo modo di procedere, lasciando morti e feriti sul campo come succede in qualunque guerra. E se è vero che si deve ripartire, allora lo si deve fare elaborando la perversione degli espedienti fino a qui adoperati dal capitale per mangiarsi la coda e milioni di esseri umani, fin nei minimi dettagli, finalizzandola a un nuovo linguaggio, e non limitarsi a un'opera di restyling del bel mondo finanziario dando la botta definitiva all'economia reale. Penso tuttavia che dovremo convivere con una mutazione lunga, dolorosa, e poco incline a nuovi innesti riformistici. Perché le relazioni nel mondo del lavoro deformate dalla competizione ammettono solo le regole del branco, che l'economia di questi anni ha messo in luce nei suoi aspetti peggiori. Quello che è micidiale non è tanto la relazione uomo-macchina, e il suo rapporto con la tecnologia, peraltro fondamentale, ma il rapporto uomo-uomo sempre più robotizzato da un linguaggio sempre più esangue e ripetitivo. E' questa disaffezione al sentimento sul luogo di lavoro che ci mortifica. È, permettete, la mancanza di gentilezza e di sfumature del linguaggio, e la poca educazione nei luoghi deputati alla produzione a deprimerci. Ma come potrebbe essere diversamente? il profitto non prevede un condiviso sentimento per l'altro. Di questo cinismo i manager se ne fanno vanto, sono pagati lautamente per robotizzare gli esseri umani, fanno perciò quello che devono, prendono ordini dai consigli di amministrazione, dagli azionisti. I lavoratori sono merci che producono altre merci, ma che vengono dopo le merci che producono, hanno meno diritti, e similarmente a una confezione di formaggio hanno una data di scadenza dal momento che il lavoro con tutte le sue implicazioni di diritti e doveri si è volatilizzato. C'è solo la precarietà della mansione e la certezza della sostituibilità. Quindi il rapporto lavoratore e datore viene risolto nel momento stesso che la posizione dei lavoratori diventa precaria. Nello stesso istante in cui c'è una data in calce al contratto se ne sancisce l'instabilità, giorno per giorno si naviga a vista e alla prima turbolenza si gettano a mare i clandestini. Di qui a prevedere catastrofi generali e pene quotidiane il passo è breve. Da diversi anni ho la percezione che siamo precipitati nel baratro di una straordinaria recessione proprio nel momento stesso in cui si gettavano le fondamenta del palazzo della finanza creativa. Il magico mondo delle bolle speculative ci ha distratti dal coma farmacologico in cui siamo sprofondati, io stesso mi sono svegliato da poco e ho trovato purtroppo che il fondo del barile somiglia stranamente al pavimento di casa mia.

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