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venerdì 16 maggio 2008

La serata con GIANNI FARINETTI

Ecco le immagini della serata di mercoledì scorso con il romanziere piemontese Gianni Farinetti che ha presentato il suo ultimo romanzo "Il segreto tra di noi" edito da Mondadori. Il segreto della terra. di Ivano Nanni Sarà perché sono di ceppo contadino che la serata in compagnia di Farinetti mi è piaciuta, l’ho trovata confortante, onesta, proba, benevola, è stato come ritrovarmi a casa in compagnia di un parente che non vedevo da tempo, nell’aia di un vecchio zio, con in mano un bicchiere di vino, magari quel vino di Carema, squisito e introvabile, celebrato da un altro piemontese: un grandissimo Soldati, l’autore di Vino al vino, forse il primo e unico romanzo enologico italiano, indicibile tanto è ricco di prospettive e che è, per dirla in due parole, un viaggio alla scoperta della gente e dei luoghi dove vivono, passando per vigneti e cantine di tutta Italia usando il vino come lente d’ingrandimento. Dicevo di come è stata confortante la serata, dello stesso conforto che mi dà sempre una buona zuppa calda, un sollievo semplice e dignitoso nella sua povertà di ingredienti, tipico dei contadini che non buttano via niente e che dagli avanzi ricavano una cucina che ora è forse la più ricercata, perché la più lontana da noi, dalla nostra vita da fast-food. Quando Farinetti parlava della sua casetta, primitiva e povera nei boschi delle Langhe, quelle meno conosciute, meno turistiche, aspre e dure come la gente che vi abita, e l’ha citata come luogo in cui trovare pace, ho pensato alla mia zuppa, in fondo un luogo mentale simile al suo rudere, fatta della stessa materia, dello stesso spirito, della stesso profumo, un luogo dove rifugiarsi caldo e accogliente, immenso e felice; e proprio per questo profumo e questo senso di libertà che è riuscito a richiamare sono grato all’autore. Il suo eloquio calmo, scosso a tratti da guizzi di ilarità l’ho trovato somigliante ai fiumi piemontesi che scendono dalle Alpi per confluire nel Po, come la Bormida, che attraversa le Langhe, quelle terre felici di tartufi e vini pregiati, insultate dai veleni dell’Acna, che molti lutti procurò ai contadini mutati in operai. Per me è stato un balzo indietro nel tempo, proprio come è l’incedere del romanzo che produce i suoi retaggi nel futuro a sostegno del presente, per ritornare in un passato amorevole nei modi di amare le vicende e di trattare le persone che ne sono protagoniste. Esaltanti sono i tratti delle persone, nei vivi senti la presenza di un compagno, di un amico, di un parente, di tutti i vivi e i morti, anche loro presenti, perché evocati con amore, tenuti insieme dai fili tesi di una storia di umanità semplice, a volte brusca e a volte tenera, come sanno dire le donne che tracciano le storie della loro casa e dei loro piccoli grandi crucci, la casa delle torte, un anfratto magico dove anche le foto, persino quelle, portano con sé l’odore del fieno appena tagliato, o il profumo degl’abiti di bucato come solo i contadini hanno nei giorni di festa: e sono loro, le tre sorelle che reggono la casa dei Valèt e la tramandano, né portano le trame con fierezza, ne sopportano le vicende, nel bene e nel male. Farinetti ama le persone di cui parla, non è un manierista, un imitatore di sentimenti non provati, egli appartiene così totalmente ai suoi personaggi che pare sia lui stesso a essere un invenzione letteraria dei Valèt scaturito dalla stessa coralità che ha inventato. Un’invenzione vivace e dolente nello stesso tempo, come la nostalgia per quella terra, l’altra grande protagonista del libro che Farinetti porta con sé nei tratti generosi del volto, franco come una zolla delle sue terre. Con la pazienza ereditata dai suoi avi ha molato a mano lo specchio in cui riflette tutto il mondo contadino, il nostro compreso, così simile al suo, per questo riconosco nella sua faccia larga come una falesia tutte le facce dei miei avi, e forse di tutti, se è vero che il primo mitico uomo apparso sulla terra che altro poteva fare se non il contadino. (Ivano Nanni)

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