Pagine

Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

Via Matteotti, 56 - 48022 Lugo di Romagna - (Ravenna) - Italia
Per Informazioni : 0545 22388 - claudio@aladoro.it
Iscriviti alla newsletter di Caffè Letterario sul sito http://www.aladoro.it/

sabato 26 aprile 2008

"L'ombelico di Venere". Serata conviviale dedicata al cibo e alla filosofia

Una serata conviviale sarà l'ultimo appuntamento del mese di aprile per Caffè Letterario. Mercoledì 30 aprile alle ore 20,30 nella sala conferenze dell'Hotel Ala d'Oro il filosofo Giovanni Barberini ci parlerà di cibo e filosofia in una dissertazione dal titolo "L'ombelico di Venere. Dal mito alla modernità. Convivio semi serio sull'importanza della filosofia a tavola e della tavola nella filosofia." A partire dall'analogia fra il nutrimento del corpo e il nutrimento della mente è possibile riconsiderare il rapporto, in verità non troppo sotterraneo, fra il cibo e il pensiero. Fra le cose che distinguono l'uomo dagli altri esseri viventi vi è il particolare legame che egli, sin dall'inizio della sua storia, ha istituito con il cibo. Gli animali si nutrono, l'uomo mangia e, nel mangiare, non si accontenta di consumare gli alimenti, ma insieme li pensa, ha, cioè, nei confronti dei cibi, un rapporto eminentemente simbolico. Questo appuntamento, è stato organizzato in collaborazione con la delegazione di Lugo dell'"Accademia Italiana della Cucina" in occasione della rassegna gastronomica "Lugolosa" che si terrà a Lugo dal 28 aprile al 4 maggio. Il pranzo di Babette di Ivano Nanni Ho sempre pensato di far parte di un club senza statuto ordinario i cui membri si riuniscono quando ne hanno voglia, senza un calendario fisso, mossi solo da un una improrogabile esigenza di condividere un po’ del loro tempo in rilassante conversazione davanti a un buon piatto e a un calice di vino. Faccio parte di questa specie di circolo come tantissimi, e ne sono contento, mi piace e mi ci diverto sempre, penso che non sia mai tempo sprecato quello che si passa in buona compagnia. Detto questo, mi lascio sempre sedurre dalla arcinota battuta di Groucho Marx -- non vorrei mai far parte di un club che avesse fra i suoi membri uno come me – , e questa battuta, a mio parere, sembra fatta apposta per diventare il motto di tutte i simposi e tavolate conviviali, come argine oltre il quale la conversazione da umoristica e distesa, può diventare un po’ troppo seriosa, un po’ troppo vicariale. Niente di male, intendiamoci, a me piacciono i vicari, se potessi nominarne uno lo farei immediatamente e gli darei l’incarico di presenziare tutti i giorni al mio lavoro, a sostituirmi in una incombenza noiosa, o a dire per me “mi dispiace questa cosa non la posso fare”, una frase che non vorrei mai pronunciare per paura di deludere e dispiacermi di aver creato dispiacere. Vorrei insomma che fosse un altro me stesso a dire le cose che non mi sono gradite, per questo vorrei un vicario, oppure, dal momento che siamo nell’epoca della riproducibilità tecnica umana, propenderei per un clone. Il mio sogno proibito è quello di essere partecipe( alle cose più sgradevoli), per interposta persona o per clonazione pura, demandando le incombenze a “un altro” e, guardare da un po’ distante. Ovviamente non permetterei al mio amico ombra di fare tutto quello che vuole, non sarei il suo commesso, non diventerei il servo di un servitore, le cose buone le terrei per me, sarei io e non “lui” a farne esperienza diretta. E certamente una delle faccende per cui il mio “altro” potrebbe prendersi una vacanza riguarderebbe la parte buona della vita dalla quale non prenderei per niente le distanze, perché si tratta proprio di quella appartata occasione di benevolenza tra amici che, grazie al cibo, prende il nome di banchetto. Quando ci si siede a tavola ci si apre a un mondo, quello del cibo, così carico di promesse e di attese che è determinante la sua gradevolezza, se è vero,come credo che sia, che il fine di ogni convito è quello di produrre buone relazioni tra i commensali. Non ho mai visto produrre buone relazioni da un cibo scadente e da un vino modesto: Goethe dall’alto del suo genio annuncia che la vita è troppo breve per bere vini mediocri, e chi ha un minimo di esperienza in materia sa quanto sia vero il detto, perciò è sempre stato il cibo migliore a creare quel quantum di felicità che ha sempre prodotto le affinità migliori tra i commensali, che li ha sempre messi di buon umore al punto tale da non lasciarsi affliggere da un conto troppo salato. Davanti ad ottimi piatti si sono chiusi affari che i tavoli dei consigli di amministrazione, notoriamente spogli, avevano lasciato irrisolti; Oscar Wilde diceva che quando si sedeva a tavola perdonava tutto, perfino i suoi parenti, e senza dubbio il buon cibo ne era responsabile, non si seducono belle donne davanti a un piatto di lenticchie, come non si è portati a nobili pensieri se si beve del vino pessimo. Lo ha detto il cuoco e pure l’enologo, autori impareggiabili della fenomenologia della pancia piena. Il buon cibo predispone alla contentezza e al perdono, alla comprensione e alla civiltà, e basta guardare le sequenze di –Miseria e Nobiltà- per rendersene conto. Una famiglia di morti di fame triste e incarognita, impegnata a escogitare improbabili spese dal pizzicagnolo, riceve un dono inatteso, miracoloso, quello di un lauto pasto, un pasto da ricchi, in cambio di un servizio particolare, quello di spacciarsi per dei nobili e presentarsi alla casa di un ricco commerciante fingendo di essere quello che non sono. Ma per darsi un contegno da ricchi e nobili serve far sparire la povertà dalle loro facce e riempire lo stomaco. Ci vuole cioè una trasformazione. E per degli affamati solo il cibo può compiere questo miracolo. Davanti alla zuppiera fumante avviene quel miracolo prospettato da Wilde, i parenti perdonano ai parenti anni di liti e di magagne, la famiglia di affamati trova a una insperata joie de vivre ballando la tarantella sul tavolo con Totò che si riempie le tasche della giacca di bucatini. Ma ancora più sorprendente è un film, sul cibo, sull’arte di prepararlo e sulla seduzione, di qualche anno fa. Anche questo è un simposio ma più sbalorditivo di quello di Platone, se mi è permesso dirlo, per il tipo di commensali coinvolti. Se nel Simposio di Platone i commensali sono già predisposti alla conversazione e al convivio per pratica dialettica, sono tutti filosofi e poeti, risulta che il cibo non è poi così centrale per le sorti del dialogo; invece per il Pranzo di Babette, è questo il film, è il cibo, cucinato in modo magistrale dalla grande cuoca in incognito nelle terre fredde di Danimarca, a provocare una vera illuminazione tra i commensali, a farli rivivere. Questi sono dei contadini bigotti, calvinisti e penitenziali che lavorano, pregano e vivono spegnendosi un poco alla volta nella tristezza di giorni pieni solo di ricordi nel loro sperduto villaggio, privo del calore del cibo e della buona conversazione, odoroso solo di cavoli e patate bollite. Babette, per ringraziare quella santa comunità per l’accoglienza ricevuta, prima di fare rientro in Francia, decide di regalare a quelle semplici e sante persone un pranzo come si mangia solo in un grande ristorante francese. E quella comunità di vecchi oranti, silenziosa e imbarazzata fino all’inverosimile, davanti a quei piatti che solo un generale francese apprezza fino all’estasi, lentamente si scioglie e dapprima si guardano con imbarazzo, poi cominciano ad apprezzare: le gote delle vecchie si fanno rosse, i nasi dei saggi anziani diventano rubizzi, gli occhi umidi di gioia, colmi della stessa joie de vivre di Totò, che non sanno esprimere a parole e meno che mai ballando, ma che mostrano con una contenuta ebbrezza e ilarità a fine pranzo. Quando escono e tornano alle loro case, si ha la percezione che si sia formata una nuova comunità, basata su un nuovo ordine e su una rinnovata fede nei rapporti personali, una vera comunità amorevole e piena di fiducia. Raccolti nella loro gioia così come siamo noi quando ne parliamo, ricordiamo la santa Babette che compie il miracolo facendo scendere le sue stelle michelin tra le lande di Danimarca illuminando i fortunati di luce e proteine sotto forma di un menù divino. Ecco il menù della serata: Tortellini alla bolognese al ragù, Cassoulette, Carne di manzo con salsa bernese, Ratatouille Dessert Caffè €.20,00 bevande incluse (prenotazioni al 0545 22388)

Cibo e filosofia da "La gola del filosofo. Il mangiare come metafora del pensare" di Antonio Tagliapietra Nelle antiche raffigurazioni iconografiche la filosofia era rappresentanta come un'orsa colta nell'atto di divorarsi la zampa. Questa figura era simbolo dell'autosufficienza della disciplina che, come recitava il motto che spesso si accompagnava all'immagine, "ipse alimenta sibi", "trae da se stessa il suo proprio nutrimento". Tuttavia, al destino autofagico della filosofia può fungere da divertente appendice aneddotica l'esame di quello che già Michel Onfray chiamava "il ventre dei filosofi". Guardare i filosofi dal punto di vista della pancia, infatti, può riservare qualche divertente sorpresa. Per esempio, Platone era ghiottissimo di fichi secchi e olive, che divorava anche all'Accademia, fra una lezione e l'altra. Se Platone preferiva, per così dire, degli stuzzichini, le abitudini alimentari di Aristotele dovevano essere, indubbiamente, più ricercate dal momento che la tradizione ci dice che avesse una ricchissima collezione di pentole. Le prime prescrizioni dietetiche in filosofia risalgono tuttavia a Pitagora che, circa un secolo prima di Socrate e Platone, per i seguaci della scuola pitagorica aveva prescritto una dieta prevalentemente vegetariana, a base di verdure cotte e crude, sale, pane, acqua pura, vietando assolutamente il consumo del pesce fragolino, del melanuro, della matrice, della triglia, del cuore degli animali e delle fave. Epicuro, invece, pare debba la cattiva nomea dell'epicureismo non solo al frutteto dove si incontrava con i suoi discepoli - il Giardino che diede nome alla sua scuola -, quanto al suo debole per il formaggio cotto in una pentolina, una specie di fonduta valdostana ante litteram. Diogene e i cinici furono gli inventori del "fast food", perché per primi predicarono la necessità di consumare i cibi per strada e in piazza, senza troppe cerimonie né preparazioni, nutrendosi contemporaneamente (e quindi, si suppone, in una forma che ricorda il moderno sandwich o il panino) del pane che faceva da piatto e del companatico che esso conteneva, in genere una manciata di lenticchie o di lupini, fichi secchi o olive. Di Zenone di Cizio, caposcuola degli stoici, è nota la predilezione per i fichi verdi, il miele e il vino. Di quel Carneade su cui s'interrogava il don Abbondio manzoniano, che fu uno scettico in seno alla scuola platonica, non conosciamo i gusti alimentari, ma sappiamo che era solito farsi imboccare da una schiava, perché, tutto assorbito dai suoi pensieri, dimenticava persino di portare il cucchiaio alla bocca. Per venire a tempi più recenti è nota l'assoluta predilezione di Kant per la senape, con cui insaporiva i pranzetti che, a detta dei biografi, il filosofo era solito preparare per gli allievi più cari. Ma il debole di Kant era il caffé, di cui, nonostante temesse gli effetti nocivi, si concedeva ben due tazze ogni mattina. Fra i secondi la predilezione di Kant andava senza dubbio al baccalà, di cui, anche quand'era sazio, non disdegnava di "fare il bis", magari con il piatto "fondo" ben pieno. A detta dei biografi, poi, Kant a tavola, lungi dall'intrattenere i commensali con discorsi filosofici o sulla rivoluzione che, in quegli anni, era all'"ordre du jour", preferiva discettare, con minuziosa precisione, sulle pietanze e sulle loro ricette che, se invitato, non esitava a richiedere insistentemente ai padroni di casa. Altra cosa, di certo, rispetto a quei fiocchi d'avena di cui, a quanto pare, si nutriva quasi esclusivamente l'ascetico Wittgenstein. Completamente digiuno di cucina era, al contrario di Kant, il buon marchese di Condorcet, la cui scarsa confidenza con pentole e pignatte fu, a suo modo, fatale. Durante la fuga dalla ghigliottina, infatti, il blasonato "philosophe" del progresso infinito dell'umanità giunse sfinito ad un'osteria di campagna e, per rifocillarsi, chiese allo stupito avventore un'omelette di ben dodici uova. L'oste, insospettito, lo consegnò subito alle "cure" dei sanculotti. Sulla predilezione dei filosofi per la bevanda dionisiaca per antonomasia ci sarebbe, poi, molto da dire - Massimo Donà, di recente, ce ne ha dato ampio assaggio con la sua "Filosofia del vino" -, cominciando da quel buon rosso (non si sa se fosse un Bourgogne, in onore della Révolution, o un nostrano Barolo, come anche poco prima di morire Hans Georg Gadamer confidava di preferire) che Hegel stappava ogni 14 luglio, per ricordare la presa della Bastiglia, e ogni 31 ottobre, per commemorare l'inizio della Riforma protestante, o dal rosso bordolese del quale Montesquieu in persona curava la vendemmia. Ma non avendone lo spazio, ci limitiamo a ricordare quella del religiosissimo Kierkegaard, che associava volentieri il vino al pollo (arrosto o lesso non ci è dato sapere). Più vicina a noi va ricordata la passione di Martin Heidegger per il "Kartoffelsalat" e, in negativo, l'assoluta imperizia di Ernst Cassirer in cucina. Entrandovi forse per la prima volta durante un'influenza della moglie, il filosofo delle "forme simboliche" mise a scaldare il latte sul fuoco con tutta la bottiglia, producendo una disastrosa esplosione che, negli ambienti accademici tedeschi, fa ancora sorridere.

MASSIMO ONOFRI a Caffè Letterario

Appuntamento dedicato alla critica letteraria quello di lunedì 28 aprile alle ore 21,00 nella Sala Conferenze dell'Hotel Ala d'Oro con Massimo Onofri che presenterà il suo ultimo lavoro “La ragione in contumacia” edito da Donzelli nel 2008. L’introduzione alla serata sarà affidata al curatore della rassegna letteraria lughese Marco Sangiorgi. C'è un confine oltre il quale la critica letteraria diventa critica della vita? C'è un punto in cui, per chissà quale metamorfosi, l'interpretazione di un testo diventa notizia del mondo, di un mondo abitabile ben oltre la letteratura? Rileggendo le risposte che alle grandi domande sui concetti di autore, testo e lettore, ha fornito la teoria della letteratura novecentesca, Massimo Onofri ci offre in questo libro l'apologia della critica militante, nella convinzione che essa abbia rappresentato, nel secolo appena trascorso, l'unica forma di resistenza a un totalitarismo, come quello appunto della teoria, che ha provato a cancellare, nel nome del metodo e della scienza, i diritti del lettore in carne e ossa, della vita e del senso comune. Così facendo, e interrogandosi sui concetti di impegno e democrazia, di giudizio di valore e di canone, cui la critica militante è costitutivamente e imprescindibilmente legata, Onofri avanza, in un tempo di feroci fondamentalismi, una sua eretica proposta di illuminismo militante e trascendentale, che sappia riformulare e riproporre i doveri di una ragione, sia pur minima, fallace e certo relativa, ma ancora universalizzabile, confortato dalla certezza che la critica resti, nonostante tutto, l'unica possibilità dell'uomo e del cittadino per uscire dal suo stato di minorità. Laureato in filosofia morale presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza", Massimo Onofri è attualmente professore di critica letteraria e letteratura italiana contemporanea all'Università di Sassari. Ha pubblicato prefazioni, saggi e articoli dedicati, tra gli altri, a Pirandello, Borgese, Brancati, Sciascia, Fiore, Bufalino, Consolo, Bertolucci, Giudici, Lalla Romano e Celati.

La serata con Ivano Artioli

Ecco le immagini della bella serata di mercoledì scorso con il presidente dell'ANPI di Ravenna Ivano Artioli che ha presentato il suo romanzo "Il fotografo di via Baccarini" edito da Danilo Montanari. In compagnia di Artioli sul palco di Caffè Letterario lo scrittore Gian Ruggero Manzoni e l'Assessore alla Cultura del Comune di Lugo Giovanni Barberini.

giovedì 17 aprile 2008

Ancora tre incontri nel mese di aprile

mercoledì 23 aprile, ore 21,00 Sala Conferenze Hotel Ala d’Oro
Ivano Artioli
“Il fotografo di via Baccarini”
(Ravenna, Danilo Montanari, 2007)
Interviene Gian Ruggero Manzoni
Sarà presente l’autore
Ravenna, gli anni della liberazione, uno studio fotografico, attrazioni contrastate, scelte difficili da compiere. “Il fotografo di via Baccarini” è il nuovo romanzo storico di Ivano Artioli, Presidente dell’Anpi provinciale. Un libro rivolto alle nuove generazioni, che testimonia anni importanti, dove fu conquistata la libertà dal nazifascismo.
Lunedì 28 aprile, ore 21,00
Sala Conferenze Hotel Ala d’Oro
Massimo Onofri
“La ragione in contumacia”
(Roma, Donzelli, 2007)
Interviene Marco Sangiorgi
Sarà presente l’autore
Laureato in filosofia morale presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza", Massimo Onofri è attualmente professore di critica letteraria e letteratura italiana contemporanea all'Università di Sassari. In un tempo di feroci fondamentalismi, Onofri avanza una sua eretica proposta di illuminismo militante e trascendentale, che sappia riformulare e riproporre i doveri di una ragione, sia pur minima, fallace e certo relativa, ma ancora universalizzabile, confortato dalla certezza che la critica resti, nonostante tutto, l'unica possibilità dell'uomo e del cittadino per uscire dal suo stato di minorità.
Mercoledì 30 aprile, ore 20,30
Serata conviviale
Sala Conferenze Hotel Ala d’Oro
In collaborazione con“Accademia Italiana della Cucina”
Giovanni Barberini
"Filosofia e cibo. Convivio semi serio sull'importanza della filosofia a tavola e della tavola nella filosofia"
€. 20,00 per persona, bevande incluse
(prenotazione obbligatoria)
A partire dall'analogia fra il nutrimento del corpo e il nutrimento della mente è possibile riconsiderare il rapporto, in verità non troppo sotterraneo, fra il cibo e il pensiero. Fra le cose che distinguono l'uomo dagli altri esseri viventi vi è il particolare legame che egli, sin dall'inizio della sua storia, ha istituito con il cibo. Gli animali si nutrono, l'uomo mangia e, nel mangiare, non si accontenta di consumare gli alimenti, ma insieme li pensa, ha, cioè, nei confronti dei cibi, un rapporto eminentemente simbolico.

mercoledì 16 aprile 2008

IVANO ARTIOLI a Caffè Letterario

Incontro dedicato alla Resistenza quello di mercoledì 23 aprile alle ore 21,00 nella sala conferenze dell'Hotel Ala d'Oro. Il presidente dell'ANPI di Ravenna Ivano Artioli, presenterà il suo romanzo "Il fotografo di via Baccarini" edito da Danilo Montanari nel 2007. A introdurre la serata sarà Gian Ruggero Manzoni. Alfonso Feltri, giovane fotografo in Via Baccarini a Ravenna, conosce Bianca Treseghin, professoressa di disegno arrivata in città per una breve supplenza all’Istituto d’Arte. Tra i due c’è una forte attrazione: quelli sono giorni pericolosi perché i tedeschi ed i fascisti cercano i renitenti al “precetto Graziani”, che comanda a tutti gli uomini dai diciotto ai trentacinque anni di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e di non accettare l’armistizio dell’otto settembre quarantatrè. La maggioranza dei ravennati non la pensa così. Gli uomini e le donne non ubbidiscono.. I “Comitati Antifascisti” nati dopo il venticinque luglio si diffondono e si organizzano: è la resistenza. Alfonso cerca di non rimanere coinvolto anche quando gli amici, e la stessa Bianca, mostrano di condividere le scelte partigiane. Intanto, in una spiaggia dell’Adriatico, da un sommergibile americano, viene sbarcato Carmelo Origi; è un emigrato italiano residente a Boston, ha un compito che nemmeno gli alti comandi dell’esercito anglo-americano conoscono: con altri come lui deve contribuire a preparare l’Italia del dopoguerra. Le storie, tra Ravenna e Comacchio e Musile di Piave e Venezia, s’intrecciano.

lunedì 14 aprile 2008

La serata con TONINA PANTANI

Una serata intensa ed emozionante quella di venerdì sera con Tonina Pantani, la mamma del grande Marco “Il Pirata”, e il giornalista Enzo Vicennati che hanno presentato il libro “Era mio figlio” edito da Mondadori pochi mesi or sono nel quarto anniversario della morte di Marco Pantani. Un incontro dedicato alla memoria del campione di Cesenatico, uno dei corridori più popolari del ciclismo moderno. Una memoria che mamma Tonina ha difeso con le ughie e con i denti accusando giudici e mondo del ciclismo di aver distrutto soprattutto psicologicamente il figlio. Dopo le grandi vittorie di Giro e Tour de ’98 e mentre stava dominando il Giro del ’99 arriva, a Madonna di Campiglio, la squalifica a seguito di un controllo antidoping che verifica un valore di ematocrito appena superiore al valore consentito. La notizia attraversò come una scarica elettrica tutta l'Italia. Quasi un milione di persone lo aspettava quel giorno sulla strada che portava al traguardo dell'Aprica. Quel giorno, ha accusato sua madre Tonina, scattò la trappola per far fuori un personaggio diventato "scomodo" per tutto il mondo del ciclismo. Troppo forte, troppo ambizioso, troppo popolare al punto da oscurare gli altri. Forse davvero Pantani aveva irritato troppa gente nel gruppo. Non concedeva più tappe, voleva vincere tutto. Può darsi che qualcuno abbia voluto dargli una lezione, che l'abbia aspettato al varco sapendo che, in quel giorno, si poteva incastrarlo. E da quel giorno cominciò la sua agonia che lo porterà a morire cinque anni dopo in un residence a Rimini.

venerdì 11 aprile 2008

Dedicato a MARCO PANTANI. La rassegna stampa

Questa sera
Venerdì 11 aprile, ore 21,00
Sala Conferenze Hotel Ala d'Oro
Tonina Pantani
"Era mio figlio"
(Milano, Mondadori, 2008)
Interviene Enzo Vicennati
Sarà presente l'autrice
La rassegna stampa

martedì 8 aprile 2008

TONINA PANTANI a Caffè Letterario

Appuntamento da non perdere quello di venerdì 11 aprile alle ore 21,00 nella sala conferenze dell'Hotel Ala d'Oro. Protagonista della serata uno dei più grandi campioni del ciclismo italiano di tutti i tempi, il mitico Marco Pantani. La mamma del campione romagnolo Tonina Pantani presenterà il libro "Era mio figlio" edito da Mondadori nel febbraio scorso in occasione del quarto anniversario della morte dell'indementicabile "Pirata". L'incontro sarà introdotto dal cronista sportivo di Bicisport e Il Giornale, Enzo Vicennati che ha collaborato nella stesura del testo con la madre dello sfortunato campione. A quattro anni dalla scomparsa di Marco Pantani, dunque, Mamma Tonina rompe il silenzio e racconta la straordinaria parabola tragica di suo figlio, il Pirata. Dopo aver vinto le grandi corse a tappe, entusiasmando le folle come ai tempi di Coppi, il grande campione di Cesenatico è morto il 14 febbraio 2004 in un residence di Rimini. È morto solo, in rotta con se stesso e con il mondo. Su Pantani è stato scritto e detto tanto, ma la voce più vicina e quindi più titolata a parlarne è sempre rimasta zitta. Ora non più. Grazie al paziente lavoro di Enzo Vicennati, cronista sportivo del "Giornale", la famiglia Pantani parla. Mamma Tonina sfoglia l'album dei ricordi, raccontando di un ragazzino tenace e originale, già dotato di quella personalità che farà di lui un campione, ma anche generoso e delicato nei confronti degli altri. Poi racconta la felicità di una modesta famiglia di provincia nello scoprire l'enorme talento del figlio e l'entusiasmo per le prime vittorie fino ai trionfi da professionista. Infine, Mamma Tonina accusa il mondo dello sport di essere una macchina infernale che crea fenomeni per poi stritolarli.

Due serate dedicate all'Arte

Due serate dedicate all’arte, quelle di sabato e lunedì scorso per Caffè Letterario. La conviviale di sabato ha visto come protagonista il filosofo veneziano Massimo Donà che ha presentato il libro “Arte e Filosofia” edito da Bompiani. La serata e la discussione che ne è seguita si sono protratte fino alla mezzanotte grazie anche alla presenza in sala dell’artista e vecchio amico di Caffè Letterario Gian Ruggero Manzoni che ha svolto le funzioni di moderatore. Molto apprezzato anche il breve e intenso filmato che è stato proiettato a metà serata dal titolo “Eternal gaze” (lo sguardo eterno). Un “corto” realizzato con la tecnica del 3D dall’artista giapponese Sam Chen, dedicato al grande scultore del secolo scorso Alberto Giacometti. Una bellissima lezione di Storia dell’Arte è stato invece l’incontro di lunedì 7 con Claudio Spadoni, direttore del MAR (Museo d’arte della città di Ravenna) che ha presentato il catalogo e la mostra attualmente allestita nella Loggetta Lombardesca. “La cura del bello. Musei, storie, paesaggi per Corrado Ricci." Spadoni con l’ausilio della videoproiezione di molte delle opere esposte a Ravenna, ha condotto per mano il pubblico attraverso sei secoli di storia dell’arte, dal duecento senese ai paesaggisti italiani del XIX secolo, sottolineando l’importanza che la figura del ravennate Corrado Ricci ha avuto per la tutela e la custodia del patrimonio artistico e paesaggistico italiano. Due serate dedicate all’arte. di Ivano Nanni Esasperati dalla politica, impotenti di fronte allo strazio delle diatribe di uomini piccoli che si fronteggiano seminando illusioni su platee ridondanti di bandiere e folle plaudenti agghiaccianti, le persone reagiscono come possono, secondo il loro temperamento e la loro cultura. Purtroppo non sono molti coloro che reprimono la rabbia e la frustrazione e la convertono in spirito critico elaborando il senso di una profonda malinconia, andando oltre il disgusto di questi tempi ignobili e godendo di alcuni momenti di gioia comune. L’impressione di trovarsi in una condizione di disincanto e scetticismo tale da non aspettarsi niente da chi non ha niente ci darebbe l’opportunità di resettare il sistema mentale, azzerare il contatore delle polemiche e imprimere al nostro ragionare una svolta, liberarci dall’ipnosi del rito senza contenuto della politica ed esercitare quello sguardo dal di fuori che abbraccia elementi vecchi e nuovi e ci induce a pensare la nostra vita in termini non più o non solo economici. Un esempio delle possibilità offerte da questi tempi improponibili, ci viene dall’arte e dai discorsi che attorno ad essa si sono composti, nelle argomentazioni e negli innumerevoli spunti che hanno intrattenuto gli intervenuti, una minima parte di tanti interessati, nelle due serate dedicate all’arte e alla storia dell’arte nell’ambito del caffé letterario. Non dobbiamo farci fuorviare dall’interesse che suscitano le polemiche politiche, è roba fasulla, un rito al quale si partecipa sempre più stancamente. Siamo talmente infiacchiti dall’arroganza della politica che nessuno si sogna di parlare dell’unico argomento concreto che dovrebbe indignarci, cioè di quella sovranità popolare tolta di mezzo, forse per sempre, da una prepotenza incivile proposta da coloro che del senso civico dovrebbero essere i garanti. Contro questo scippo, come estrema ratio, se non dispiace, si dovrebbe come minimo disertare le urne, tanto per essere coerenti con la Costituzione, per far almeno capire che una porcata, a detta di tutti, non si può ripetere due volte e farla franca irridendo impunemente i cittadini; ma su questo non si può sperare nulla, la cultura dell’indecenza sommata a un’ignoranza e a un’accidia coltivata con scrupolo nei secoli dalla classe dirigente e trasmessa con pignoleria ai cittadini è arrivata alla sua apoteosi lasciando il bel paese in una desolante sovranità limitata. E se è vero che molte delle malefatte dei politici vengono dall’impunità che viene loro da una mancata critica dei cittadini elettori allora credo, e lo dico con un po’ di imprudenza, che interessarsi all’arte e ai suoi correlati letterari, filosofici, storici, critici, possa formare sempre più persone a quella forma d’arte particolare che non ha bisogno di nessun talento specifico di cui tutti disponiamo e che va sotto il titolo generico di saper ragionare. Ragionare un po’ di più, capire un po’di più, essere più critici e umili servirebbe a sollevarsi sopra il polverone della protervia e distinguere meglio tra una parte e l’altra, e sempre salvando il principio che sempre si può andare incontro alla rovina con le proprie scelte, almeno queste sarebbero consapevoli e sostenute da argomenti degni e ragionati. Questo a mio parere mi hanno detto le due ultime serate sull’arte condotte da amici, critici, e storici; alle mie orecchie hanno detto che nonostante l’arte sia una terra aspra e dura da definire, un elemento concreto emerge forte e chiaro: ed è l’assoluta arbitrarietà del giudizio o perlomeno la sua incessante onnipresenza e gli innumerevoli spunti di lettura che si danno sulle opere, e che è proprio per questa libertà interpretativa, congeniale alla nostra volubile intelligenza, che la nostra umiltà dev’esser più forte in quanto tutto occorre tenere a memoria, rispettare, e meditare. (Ivano Nanni)

domenica 6 aprile 2008

CLAUDIO SPADONI a Caffè Letterario

Altra serata dedicata all'Arte quella di domani sera Lunedì 7 aprile alle ore 21,00 nella sala conferenze dell'Hotel Ala d'Oro con il direttore del MAR (Museo d'Arte della città di Ravenna) Claudio Spadoni, che presenterà il catalogo e la mostra attualmente allestita alla Loggetta Lombardesca "La cura del bello. Musei, storie, paesaggi per Corrado Ricci." La mostra, curata da Claudio Spadoni e promossa dal Comune di Ravenna, dall’Assessorato alla Cultura e dal Museo d'Arte della città, prosegue il percorso di ricerca volto a far luce sui grandi temi e figure centrali della critica e della storia dell’arte. "Da Renoir a de Staël. Roberto Longhi e il moderno" (2003) era incentrata sul ruolo meno noto, ma importantissimo, di ‘critico militante’ svolto dal grande storico dell’arte Roberto Longhi; "Turner Monet Pollock. Dal Romanticismo all’Informale. Omaggio a Francesco Arcangeli" (2006) intendeva visualizzare il suggestivo percorso storico-critico prefigurato dal grande studioso bolognese, a conclusione dei primi quattro anni di attività dell’Istituzione Museo d’Arte della città Ravenna. Ora dunque il MAR dedica una rassegna a Corrado Ricci (1858-1934), figura di grande rilievo per la museologia e la tutela dei beni culturali. La sua attività di studioso e legislatore ha infatti contributo al riordino del sistema museale nazionale. In esposizione le opere dei grandi protagonisti dell’arte italiana fra ‘300 e ‘600 provenienti dai principali musei italiani dove Ricci ha svolto la sua attività. La mostra comprende anche un’ampia sezione dedicata al paesaggio tra fine ‘800 e i primi del ‘900 con i maggiori nomi della pittura italiana del tempo come Avondo, Bassi, Cabianca, Caffi, Cambiaso, Carcano, D' Andrade, De Gregorio, De Nittis, Fontanesi, Lojacono, Moradei, Palizzi, Rossano, Signorini, Toma, Vertunni e Vighi ed un nucleo di opere dedicate alla pineta ravennate di Luigi Bertelli e Vittorio Guaccimanni. Infine un omaggio a Corrado Ricci storico dell’arte, con opere di Barocci, Cagnacci, Rembrandt e Reni. Il catalogo edito da Electa, con la riproduzione di tutte le opere in mostra, è corredato da saggi di Emilio Roberto Agostinelli, Luisa Arrigoni, Roberto Balzani, Marco Antonio Bazzocchi, Paola Callegari, Ermanno Carbonara, Valter Curzi, Donatino Domini, Andrea Emiliani, Lucia Fornari Schianchi, Anna Maria Guiducci, Donata Levi, Cetty Muscolino, Antonio Paolucci, Maria Luigia Pagliani, Massimo Pomponi, Marina Santucci, Gianni Carlo Sciolla, Sandra Sicoli, Claudio Spadoni, Nicola Spinosa, Claudia Tedeschi e Giovanni Valagussa. La mostra inaugurata il 9 marzo, rimarrà aperta fino al 22 giugno.

mercoledì 2 aprile 2008

MASSIMO DONA' a Caffè Letterario

Sabato 5 aprile alle ore 20,30 nella sala conferenze dell'Hotel Ala d'Oro seconda serata conviviale dell'anno con il filosofo Massimo Donà che presenterà il suo ultimo lavoro "Filosofia e Arte" edito da Bompiani nel 2007. Un altro gradito ritorno per Caffè Letterario quello di Massimo Donà che due anni fa tenne, sempre in una serata conviviale, una più che piacevole dissertazione dedicata alla presentazione del libro "La filosofia del vino". Filosofia e arte saranno invece le protagoniste di questo incontro e fianco del filosofo sarà l'artista Gian Ruggero Manzoni a introdurre la discussione.
Ma perché un volume sul rapporto tra arte e filosofia? Perché da sempre l’arte interroga gli umani, provocando la loro naturale attitudine filosofica. E perché da sempre la filosofia sa che, solo interrogando l’esperienza artistica, possiamo tentare di rendere ragione della nostra inestinguibile volontà di verità: ossia, del bisogno, tipicamente umano, di sciogliere il mistero della vita, carpendo, di quest’ultima, i più riposti segreti. Le vicende dell’arte occidentale sono sempre state condizionate da prospettive essenzialmente filosofiche; ed è proprio nella potenza della raffigurazione artistica che s’è annunciato il senso e dunque il destino delle diverse epoche storiche. Ecco, in questo lavoro l’autore cerca di ripercorrere le vicende di tale rapporto. Due pratiche diversissime, dunque, quella filosofica e quella artistica, eppur vicinissime, che dovevano esser fatte finalmente interagire in un volume capace di mostrare quanta ricchezza sia custodita in fenomeni che troppo spesso s’è preferito consegnare a una semplice e innocua attribuzione di bellezza.
Massimo Donà è professore ordinario di Filosofia teoretica alla facoltà di Filosofia dell’Università “Vita-Salute” del San Raffaele di Milano. Per Bompiani ha già pubblicato Filosofia del vino (2003); Panta Filosofia (2003); Magia e Filosofia (2004); Sulla negazione (2004); Serenità. Una passione che libera (2005); Filosofia della musica (2006); Dio-Trinità. Tra filosofi e teologi (con Piero Coda, 2007). Di recente ha pubblicato anche i seguenti volumi: Il mistero dell’esistere. Arte, verità e insignificanza nella riflessione teorica di René Magritte (Mimesi 2006); L’essere di Dio. Trascendenza e temporalità (Albo Versorio 2007). In qualità di musicista ha prodotto quattro CD, l’ultimo dei quali è “Cose dell’altro mondo” (Caligola Records 2006).
Trattandosi di una serata conviviale è obbligatoria la prenotazione (054522388)
Questo il menù....
Aperitivo
Insalata primavera con asparagi e salmone affumicato
I cappelleti in brodo
Semifreddo al croccantino con cioccolato fuso
Caffè
€. 20,00 per persona (bevande incluse)